Nell'ultimo decennio la comunità scientifica ha affrontato una seria minaccia alla sua integrità e credibilità con l'aumento dei predatory journals o riviste predatorie. Queste riviste manipolano e sfruttano il modello di pubblicazione Open Access ma omettono i controlli di qualità e i servizi editoriali che sono abitualmente forniti da riviste legittime, come la peer review, il rilevamento del plagio e la verifica dell'approvazione etica degli esperimenti.

Il termine "predatorio" è stato abbastanza criticato ma oggi è ampiamente accettato per descrivere un fenomeno crescente che merita sempre più attenzione.

In questo post delineiamo tre importanti punti discussi durante il webinar, per rivedere l’intera sessione clicca su guarda il replay.

1. Come è nato il fenomeno predatorio: “Pubblica o perisci”

Il fenomeno è stato certamente incentivato dalla forte pressione a pubblicare a cui sono sottoposti coloro che vogliono fare carriera nell’accademia. Questa condizione è descritta efficacemente dall’aforisma “Publish or perish” secondo cui non solo i ricercatori devono pubblicare, ma devono pubblicare su riviste ad elevato impatto e devono pubblicare tanto – pena la morte accademica. Questa situazione ha certamente avuto il merito di incentivare i ricercatori a produrre articoli di qualità. Però, ha causato anche vari problemi, tra cui la crisi di replicabilità dei dati scientifici ed il fenomeno predatorio.

Il professore Jeffrey Beall dell'Università del Colorado è stato il primo a coniare il termine predatorio e a lanciare un'iniziativa che consiste in una lista nera online, aggiornata quotidianamente, di potenziali, possibili o probabili editori e riviste accademiche predatorie open access. Benché il blog in cui figurava la lista di Beall sia stato chiuso nel gennaio 2017, diverse iniziative sono state lanciate da allora per monitorare il fenomeno.

2. Criteri per riconoscere i predatory journals

Un ampio corpo di conoscenze ha delineato le caratteristiche principali delle riviste predatorie. Tra queste, le caratteristiche più ricorrenti sono:

  • Siti web non professionali, spesso con numerosi errori grammaticali
  • Utilizzo di fattori di impatto stravaganti
  • Mancata descrizione della procedura che viene seguita dal giornale dal momento della sottomissione dell'articolo al momento della sua pubblicazione
  • Mancato accenno ai processi di peer review
  • l'ambiguità riguardo le regole adottate per i corsi di pubblicazione che spesso sono in generale più bassi dell'open access etico
  • Promessa di tempi di pubblicazione piuttosto veloci solitamente non sono compatibili con una peer review seria
  • Approccio personale all'autore tramite e-mail che spesso provengono da indirizzi generici come gmail.com dove il soggetto vieni invitato a sottomettere il suo lavoro
  • Assenza di chiarezza sul copyright e informazioni su eventuali regole di recesso

3. Iniziative in corso per cercare di contenere e risolvere il fenomeno

La consapevolezza delle minacce che l'editoria predatoria pone alla comunità scientifica ha spinto a ideare diverse iniziative internazionali per debellare il fenomeno. Tra queste, le più strutturate sono:

Directory of open access Journals (DOAJ): mantiene una white list di riviste open access che hanno soddisfatto una serie di criteri di standard editoriale minimo

THINK-CHECK-SUBMIT: campagna introdotta per aiutare i ricercatori a identificare riviste di fiducia per presentare le loro ricerche. Si tratta di una semplice lista di controllo che i ricercatori possono utilizzare per valutare le credenziali di una rivista o di un editore.

THINK-CHECK-ATTEND: progetto ideato per neutralizzare il fenomeno emergente delle conferenze predatorie, cioè false conferenze che hanno il solo scopro di lucro. Tramite Conference checker, indicando il titolo della conferenza e la località dove questa avrà luogo si otterranno una serie di informazioni, per esempio se ci sia una affiliazione alla società scientifica o se si percepisce una natura prettamente commerciale.