Se c’è una cosa che spero che la pandemia COVID-19 abbia insegnato alla società, è il fatto che siamo tutti interdipendenti e che le nostre azioni hanno un impatto sugli altri. La professione infermieristica, sicuramente, lo ha sempre saputo.
L’intera ragione d’essere dell’infermieristica è quella di compiere azioni che hanno un impatto sugli altri. Non lo chiamiamo “impatto sugli altri”, lo chiamiamo processo infermieristico e chiamiamo i risultati delle nostre azioni “esiti del paziente”. Questi ultimi possono essere quantificabili, ad esempio, una riduzione del dolore del paziente può essere misurata usando una scala del dolore, oppure possono essere più qualitativi, come lo sguardo di un paziente affetto da demenza quando si è calmata la sua paura. A volte l’impatto che gli infermieri hanno è immediato e facilmente documentabile, mentre altre volte l’impatto è meno chiaro e si costruisce nel tempo, o magari non viene mai riconosciuto.
Per alcuni anni ho lavorato in un ospedale universitario che si occupava di pazienti affetti da leucemia durante il primo ciclo di chemioterapia. Una paziente che ho curato era una donna di mezza età di Taiwan. Non parlava inglese e anche se avevamo dei traduttori a nostra disposizione, gran parte della nostra comunicazione si basava sui gesti. Il trattamento della leucemia può essere difficile. La paziente di solito si sottopone a un ciclo di chemioterapia per eliminare le cellule cancerose nel midollo osseo e permettere al midollo osseo di ricominciare a produrre cellule sanguigne normali. Il processo di recupero del midollo osseo può essere lento, ma di solito si riprende. Per questa paziente, tuttavia, il consueto ciclo di chemioterapia è stato un po’ troppo per il suo midollo osseo. Dopo aver aspettato alcuni mesi senza alcun segno di recupero del midollo osseo, si è deciso di prepararsi per un trapianto di midollo osseo. È spaventoso per tutti i pazienti affetti da leucemia, ma lo è stato in particolare per questa donna che era lontana da casa e dalla famiglia, incapace di comunicare e che improvvisamente si trovava ad affrontare un trapianto di midollo osseo per avere qualche possibilità di lasciare l’ospedale.
Un giorno, dopo essere stata via per diversi giorni, sono entrata nella sua stanza e lei è praticamente saltata giù dal letto per afferrarmi, era così sollevata di vedermi! Non me ne ero resa conto, ma ero diventata la persona del reparto di cui si fidava più di tutti: ero la sua infermiera, e aveva bisogno di me. C’era qualcosa di intangibile nelle nostre interazioni che la faceva sentire al sicuro; le altre infermiere facevano tutto correttamente per accertarsi che stesse bene, ma ero io la prima a farla sentire al sicuro. Non avevo idea di aver avuto un tale impatto su di lei. Quella mattina mi sono seduta al suo capezzale tenendole la mano e facendola sentire al sicuro. Dopo un pò ho chiamato un traduttore per sapere se c’era qualcosa di cui aveva bisogno in particolare, ma è venuto fuori che aveva solo bisogno della sicurezza di sapere che ero lì. Proprio mentre sua sorella si stava preparando a volare da Taiwan per donare il midollo osseo per il trapianto, un singolo piccolo globulo bianco apparve sul suo emocromo. Il giorno dopo ce n’erano altri, e il suo conteggio cresceva ogni giorno. Piangemmo, si riprese e tornò a Taiwan, non la vidi mai più.
Ho avuto un’altra esperienza nella cura di una paziente per la quale non saprò mai il pieno impatto delle mie azioni. Un venerdì sera, ero l’infermiera responsabile quando ricevetti una telefonata per un ricovero di un ragazzo di 17 anni con un cancro ai testicoli che avrebbe iniziato la chemio quella sera. Arrivò con la madre che sembrava molto calma, in netto contrasto con il paziente impaurito. Il responsabile di oncologia sarebbe arrivato più tardi a dare le istruzioni per iniziare la chemio il prima possibile. Quando ho guardato i suoi documenti preliminari, però, non ho visto alcun accenno al fatto di discutere con lui della donazione di sperma. Quando il tirocinante e lo specializzando sono venuti, ho chiesto: “Qualcuno gli ha parlato della donazione di sperma?” Mi hanno guardato, poi hanno guardato il paziente, i suoi documenti - niente. Hanno parlato con il paziente e sua madre, hanno fatto qualche telefonata e hanno fatto in modo che il paziente potesse donare lo sperma come prima cosa sabato mattina. Il paziente e la madre sono andati via con l’appuntamento per la crioteca e le istruzioni di passare in seguito dal reparto per essere riammessi per iniziare la chemio. Io ero fuori per i giorni successivi e non l’ho più visto. Non saprò mai cosa è successo con lui. Ha avuto una buona risposta al trattamento? Ha figli biologici? Che impatto ho avuto su di lui e sulla sua famiglia?
È una grande responsabilità e un grande privilegio essere infermiera. Le nostre interazioni con i pazienti sono potenti e cambiano la vita. Ora lavoro in un ruolo di scrittura e di redazione, ma mi piace pensare di avere ancora un impatto sui pazienti fornendo alle infermiere al capezzale le informazioni basate sull’evidenza di cui hanno bisogno. Non incontrerò o interagirò mai direttamente con i pazienti su cui il mio lavoro ha un impatto, ma mi va bene così.